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tom engelhardt — l'iraq di bush in 21 domande

L'Iraq di George Bush in 21 domande

  Affiche lumineux publicitaire détourné dans une rue de Madrid (novembre 2006)

 

Di recente, in uno dei molti discorsi che mescolano la sua guerra globale contro il terrorismo e la sua guerra in Iraq, George W. Bush ha detto: "La vittoria in Iraq sarà difficile e richiederà ulteriori sacrifici. I combattimenti potrebbero essere feroci come lo furono quelli a Omaha Beach o a Guadalcanal. E la vittoria è importante come lo fu in queste battaglie precedenti. La vittoria in Iraq avrà come esito una democrazia che è amica dell'America e un'alleata nella guerra contro il terrorismo. La vittoria in Iraq sarà una sconfitta schiacciante per i nostri nemici, che hanno puntato tanto sulla battaglia in quel Paese. La vittoria in Iraq onorerà il sacrificio degli americani coraggiosi che hanno dato la loro vita. E la vittoria in Iraq sarebbe un forte trionfo nella lotta ideologica del 21° secolo".

 

Più di tre anni dopo l'invasione del 2003, non è irragionevole parlare dell'Iraq di George Bush. Lo stesso Presidente ama riferirsi a quel Paese come al "fronte [o il teatro] centrale nella nostra battaglia contro il terrorismo", e una National Intelligence Estimate (NIE), in parte fatta trapelare di recente alla stampa e in parte resa pubblica in seguito dal Presidente, conferma che in effetti adesso l'Iraq è proprio questo – letteralmente un motore per la creazione del terrorismo. Per dirla con il documento: "Il conflitto iracheno è diventato la 'cause célèbre' per i jihadisti, dando luogo a un profondo astio nei confronti del coinvolgimento Usa nel mondo musulmano, e coltivando sostenitori per il movimento jihadista globale". Uno studio fatto da un think tank del ministero della difesa britannico avalla questo punto, definendo l'Iraq "un sergente reclutatore per gli estremisti in tutto il mondo musulmano".

 

Quindi, che aspetto ha esattamente la "vittoria" nell'Iraq di George Bush, 1.288 giorni dopo che l'invasione di quel Paese ebbe inizio con un attacco "colpisci e terrorizza" contro il centro di Baghdad?

 

Una quantità sorprendente di informazioni in merito è apparsa sulla stampa nelle ultime settimane, ma in forma meramente casuale. Qui, viene messo tutto insieme in 21 domande (e risposte) che compongono una istantanea fosca ma realistica dell'Iraq di Bush.

 

Il tentativo di riprendere la capitale, affondata in un mare di sangue negli ultimi mesi – ovvero la "battaglia di Baghdad", come all' amministrazione piace definirla  – è adesso il centro della sua strategia e delle sue operazioni militari. Quindi cominciamo con questa domanda:

 

1 — Quante milizie "freelance" ci sono a Baghdad?

 

La risposta è "23", secondo un "alto funzionario militare [Usa]" a Baghdad – così scrivono Richard A. Oppel, Jr. e Hosham Hussein sul New York Times; tuttavia, secondo la National Public Radio, la risposta è "almeno 23". Antonio Castaneda della Associated Press dice che ci sono 23 milizie "conosciute". Comunque lo si stimi, si tratta di un numero sbalorditivo di milizie, per lo più sciite ma alcune sunnite, per una grande città.

 

Quanti civili stanno morendo nella capitale irachena, a causa di queste milizie, dei numerosi squadroni della morte (spesso legati al governo), della rivolta sunnita, e del terrorismo del tipo di quello di al-Qaeda-in-Mesopotamia?

 

5.106 persone in luglio e agosto, secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato di recente. La cifra precedente, ancora sbalorditiva ma significativamente più bassa, di 3.391 data per questi mesi era basata sul conteggio delle vittime solo da parte dell'obitorio cittadino. Il rapporto Onu comprende anche le morti negli ospedali oberati della città. Con le migliaia di altri soldati Usa e iracheni portati nella capitale in agosto dall'amministrazione Bush, il bilancio delle vittime era un po' sceso per alcune settimane, ma ha cominciato di nuovo a salire verso la fine del mese. Le cifre di agosto sui civili feriti – 4.309 – sono aumentate del 14% rispetto a quelle di luglio e, a fine settembre, gli attentati suicidi erano al livello più alto dall'invasione.

 

2 — Quanti iracheni stanno venendo torturati attualmente a Baghdad?

 

Su questo, ovviamente, numeri precisi scarseggiano, ma ogni giorno vengono ritrovati un gran numero di corpi nella capitale e nei dintorni, risultato della turbolenta guerra civile che è già in corso. Questi corpi, secondo la descrizione di Oppel del Times, di solito mostrano diversi segni di torture, fra cui: "occhi cavati dalle orbite… ferite… alla testa e ai genitali, ossa di gambe e mani spezzate, bruciature elettriche e da sigarette… lesioni prodotte dall'acido e ustioni causate da sostanze chimiche, spellature… denti mancanti e ferite causate da trapani elettrici o chiodi". Il principale esperto delle Nazioni Unite per la tortura, Manfred Nowak, ritiene che adesso la tortura in Iraq sia non solo "totalmente fuori controllo", ma "peggiore" che sotto Saddam Hussein.

 

3 — Quanti civili iracheni stanno venendo uccisi in tutto il Paese?

 

La cifra che dà il rapporto delle Nazioni Unite è di 1.493 morti, in aggiunta a quelli di Baghdad. Tuttavia, si tratta sicuramente di stime per difetto. Oppel fa notare, ad esempio, che i funzionari nella provincia di al-Anbar, il cuore della rivolta sunnita "e una delle regioni più letali in Iraq, in luglio non hanno riferito nessuna morte". Nel frattempo, nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad, le morti non solo sembrano essere in aumento, ma più numerose di quanto stimato in precedenza.

 

L'intrepido giornalista britannico Patrick Cockburn ha visitato di recente la provincia. Non è un posto, commenta in modo chiarificatorio, "in cui fare errori nel leggere la mappa" (Entrate nella zona o nel quartiere sbagliato e siete morti). Diyala, riferisce Cockburn, è ora in gran parte sotto il controllo dei ribelli sunniti che sono "vicini a creare una 'repubblica dei Talibani' nella regione".

 

Sulle vittime, scrive: "A giudicare dai racconti della polizia e dei funzionari governativi della provincia, il bilancio delle vittime fuori Baghdad potrebbe essere assai più elevato di quanto riferito in precedenza". Il capo del consiglio provinciale di Diyala (che finora è sfuggito a due tentativi di assassinio) ha detto a Cockburn di ritenere che "in media, 100 persone vengono uccise a Diyala ogni settimana". ("Molti di coloro che muoiono spariscono per sempre, gettati nel fiume Diyala o sepolti in nei palmeti e nei frutteti".) Persino nel conteggio delle vittime del rapporto delle Nazioni Unite, stiamo parlando di quasi 40.000 morti iracheni all'anno. Non abbiamo modo di sapere di quanto sia più alta la cifra reale.

 

4 —Quanti soldati e poliziotti americani e iracheni stanno adesso cercando di riprendere il controllo della capitale e di stroncare la violenza che vi infuria?

 

15.000 soldati Usa, 9.000 soldati dell'esercito iracheno, 12.000 membri della polizia nazionale irachena, e 22.000 poliziotti locali, secondo il comandante delle forze Usa a Baghdad, Generale James Thurman – e tuttavia il caos in quella città è stato appena minimamente messo a freno.

 

5 — Quanti soldati iracheni mancano alla campagna americana a Baghdad?

 

Sei battaglioni iracheni, ovvero 3.000 soldati, di nuovo secondo il Generale Thurman, che li ha chiesti al governo iracheno. Questi risultano essere soldati sciiti di altre province che hanno rifiutato gli ordini di essere trasferiti dalle loro zone di origine a Baghdad. Nella stessa capitale, si dice che i soldati americani siano profondamente insoddisfatti dei loro alleati iracheni. ("Alcuni soldati Usa dicono che gli iracheni che li affiancano nel servizio sono fra i peggiori che abbiano mai visto -- e sembrano più leali alle milizie che al governo".)

 

6 — Quanti arabi sunniti appoggiano la rivolta?

 

Il 75%, secondo un sondaggio del Pentagono. Nel 2003, quando il Pentagono cominciò a fare i sondaggi dell'opinione pubblica irachena, il 14% dei sunniti appoggiava la rivolta (che allora era solo agli inizi) contro l'occupazione americana.

 

7 — Quanti iracheni vogliono che gli Stati Uniti ritirino le proprie forze dal loro Paese?

 

Fatta eccezione per le zone kurde del nord Iraq, forti maggioranze di iracheni in tutto il Paese, sciiti e sunniti, vogliono un ritiro immediato degli Usa, secondo un sondaggio del Dipartimento di Stato Usa "basato su 1.870 interviste dirette condotte tra fine giugno e i primi di luglio".

 

A Baghdad, quasi il 75% degli abitanti intervistati hanno affermato che si "sentirebbero più sicuri" dopo un ritiro Usa, e il 65% è favorevole a un ritiro immediato degli americani e delle altre forze straniere. Un recente sondaggio del Program on International Policy Attitudes (PIPA) la scoperto che il 71% di tutti gli iracheni è a favore del ritiro di tutte le truppe straniere entro un anno (Fare sondaggi per conto degli americani è un lavoro pericoloso in Iraq. Come ha detto un autore di sondaggi anonimo al Washington Post:"Se qualcuno là fuori pensasse che il cliente è il governo Usa, le persone che stanno facendo il sondaggio potrebbero essere uccise").

 

8 — Quanti iracheni pensano che a un certo punto l'amministrazione Bush si ritirerà?

 

Secondo il sondaggio del PIPA, il 77% degli iracheni è convinto che gli Stati Uniti hanno intenzione di mantenere basi permanenti nel loro Paese. Come a confermare tali timori, questa settimana Jalal Talabani, il presidente kurdo del governo sostenuto dagli Usa nascosto al sicuro nella Green Zone ben fortificata della capitale, ha chiesto che gli iracheni mantengano due basi permanenti di questo tipo, forse nelle zone kurde del Paese. Per questo è stato criticato in modo brusco da altri politici.

 

9 — Quanti terroristi stanno venendo uccisi in Iraq (e altrove) nella guerra globale contro il terrorismo del Presidente?

 

Meno di quanti ne stanno venendo prodotti dalla guerra in Iraq, secondo la National Intelligence Estimate appena fatta trapelare. Come ha scritto Karen De Young del Washington Post: "La guerra in Iraq è diventata un veicolo primario di reclutamento per gli estremisti islamici violenti, motivando una nuova generazione di potenziali terroristi in tutto il mondo, il cui numero potrebbe stare aumentando più velocemente di quanto gli Stati Uniti e i loro alleati possano ridurre la minaccia, hanno concluso analisti di intelligence Usa".

 

Vale la pena ricordare, come ha detto a un gruppo di Democratici della Camera questa settimana il generale in pensione William Odom, ex direttore della National Security Agency, che le attività di reclutamento di al Qaeda in verità erano diminuite nel 2002, aumentando bruscamente solo dopo l'invasione dell'Iraq. Carl Conetta, del Project for Defense Alternatives, riassume così la situazione: "Il ritmo delle vittime del terrorismo nei 59 mesi successivi all'11 settembre 2001 è il 250% di quello dei 44 mesi e mezzo precedenti e compresi gli attacchi dell'11 settembre".

 

10 — Quanti siti islamici estremisti sono spuntati su Internet per aiutare tali azioni terroristiche?

 

5.000, secondo la stessa NIE.

 

11 — Quanti iracheni si stima che siano fuggiti dalle loro case quest'anno, a causa della guerra civile a bassa intensità e della pulizia etnica dei quartieri?

 

300.000, secondo il giornalista Patrick Cockburn.

 

12 — Quanta parte dell'Iraq di Bush può essere coperta adesso dai giornalisti occidentali?

 

Circa il 2%, secondo il giornalista del New York Times Dexter Filkins, ora tornato da Baghdad e che sta facendo una Nieman Fellowship [una sorta di borsa di studio in giornalismo NdT] all'Università di Harvard. Filkins sostiene che "il 98 % dell'Iraq, e perfino gran parte di Baghdad, sono ora diventate 'off-limits' per i giornalisti occidentali". Ci sono, dice, molte situazioni in Iraq "troppo pericolose persino per essere seguite dai reporter iracheni". (Questi giornalisti, che lavorano per organi di informazione occidentali, "vivono nella paura costante che venga fuori il collegamento fra loro e il giornale, cosa che potrebbe costargli la vita. 'La maggior parte degli iracheni che lavorano per noi non lo dicono nemmeno alle loro famiglie', dice Filkins").

 

13 — Quanti giornalisti e "operatori di supporto dei media" sono morti in Iraq quest'anno?

 

20 giornalisti e 6 "operatori di supporto dei media". Il primo a morire nel 2006 è stato Mahmud Za'al, un inviato trentacinquenne di Baghdad TV, che stava coprendo un assalto da parte di alcuni ribelli sunniti contro due edifici occupati dagli Usa a Ramadi, capitale della provincia di al-Anbar, il 25 gennaio. Sembra che sia stato prima ferito a entrambe le gambe, e poi, secondo alcuni testimoni oculari, ucciso in un raid aereo Usa. (Gli Usa hanno negato di avere lanciato un raid aereo su Ramadi quel giorno).

 

La morte più recente è stata quella di Ahmed Riyadh al-Karbuli, anche lui di Baghdad TV, anche lui a Ramadi, che è stato assassinato dai ribelli il 18 settembre. L'ultima morte di un "operatore di supporto dei media" è avvenuta il 27 agosto: "Una guardia che lavorava per il quotidiano statale al-Sabah è stata uccisa quando un'auto imbottita di esplosivo è scoppiata nel garage dell'edificio".

 

In tutto, dall'invasione del 2003 sono morti 80 giornalisti e 28 operatori dei media. Paragonate queste cifre alle morti dei giornalisti in altre guerre americane: Seconda guerra mondiale (68), Corea (17), Vietnam (71).

 

14 — Quanti soldati Usa ci sono oggi in Iraq?

 

Circa 147.000, secondo il Generale John Abizaid, capo del Comando Centrale Usa, significativamente più di quelli che erano nel Paese subito dopo la presa di Baghdad nell'aprile 2003, quando ebbe inizio l'occupazione. Abizaid non prevede che queste cifre diminuiscano prima della "primavera prossima" (che nel gergo dell'amministrazione Bush è l'equivalente di "per sempre"). Non esclude persino l'invio di altre truppe. "Se sarà necessario farlo perché la situazione militare sul terreno lo richiede, lo faremo". Trovare queste truppe è tutt'altra faccenda.

 

15 — Come sta facendo il Pentagono a mantenere la consistenza delle truppe in Iraq?

 

4.000 soldati della Prima Brigata della Prima Divisione Corazzata, che operano nei pressi di Ramadi e stavano per finire il loro turno di servizio annuale, sono appena stati informati del fatto che verranno trattenuti in Iraq almeno altre 6 settimane. Non si tratta di un incidente isolato, secondo Robert Burns della Associated Press. Alcune unità stanno inoltre venendo inviate in Iraq prima del previsto.

 

La politica dell'esercito era quella di dare ai soldati due anni di ferma in patria fra un turno di combattimento e l'altro. Solo quest'anno, il periodo fra i due turni si è ridotto da 18 a 14 mesi. "Nel caso del 3° di fanteria", scrive Burns, "sembra che almeno una brigata avrà solo 12 mesi circa, perché sta andando in Iraq per sostituire la brigata estesa della Prima Corazzata". E questo potrebbe essere sempre più la norma.

 

Secondo Lynn Davis, analista senior della Rand Corporation, e autore principale di Stretched Thin, un rapporto sugli schieramenti nell'esercito, "i soldati delle attuali brigate corazzata, meccanizzata e della Stryker, che sono le più richieste, possono aspettarsi di stare lontani da casa per 'un po' più del 45 % della loro carriera'".

 

L'esercito ha inoltre mantenuto la sua consistenza facendo forte affidamento sui riservisti e sulla Guardia Nazionale, nonché sugli schieramenti involontari dell'Individual Ready Reserve. Thom Shanker e Michael R. Gordon del New York Times hanno riferito di recente che il Pentagono sta nuovamente prendendo in considerazione di attivare un numero sostanziale di riservisti e di membri della Guardia Nazionale per il servizio in Iraq. Questo nonostante, come ha scritto il giornalista Jim Lobe, "i precedenti impegni solenni da parte dell'amministrazione Bush a limitare gli schieramenti all'estero per la Guardia". (Una decisione così impopolare certamente non verrà annunciata prima delle elezioni di medio termine).

 

A oggi, scrivono Shanker e Gordon, "sono talmente tanti [i soldati Usa] schierati o tornati solo di recente dal servizio di combattimento che solo due o tre brigate da combattimento – forse dai 7.000 ai 10.000 soldati – sono del tutto pronte a rispondere in caso di crisi inaspettate, secondo un alto generale dell'esercito".

 

16 — Quanti soldati dell'esercito in servizio attivo sono stati schierati in Iraq?

 

Circa 400.000 soldati su una forza in servizio attivo di 504.000 hanno già fatto un turno in Iraq, secondo Peter Spiegel del Los Angeles Times. Di questi oltre un terzo sono già stati schierati due volte.

 

17 — Come sta influendo l'Iraq sull'equipaggiamento dell'esercito?

 

A primavera del 2005, l'esercito aveva già "impiegato a rotazione il 40% del suo equipaggiamento in Iraq e Afghanistan." Il Corpo dei Marines, a metà del 2005, stimava che il 40% del suo equipaggiamento di terra e il 20% delle risorse aeree stavano venendo utilizzati a supporto delle attuali operazioni", secondo l'analista Carl Conetta in "Fighting on Borrowed Time". Nelle condizioni climatiche estreme dell'Iraq, il deterioramento dell'equipaggiamento è stato enorme. Conetta stima che quando finiranno le guerre in Iraq e in Afghanistan il conto successivo alla guerra per riparare l'equipaggiamento dell'esercito e dei Marines sarà dell'ordine dei 25-40 miliardi di dollari.

 

18 — Di quanti dollari extra sostiene di avere bisogno un esercito disperatamente sollecitato oltre i limiti nel prossimo budget per la Difesa, principalmente a causa del deterioramento in Iraq?

 

Di 25 miliardi di dollari oltre i limiti di budget fissati dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld quest'anno; più di 40 miliardi di dollari oltre il budget dello scorso anno. La quantità di cui l'esercito afferma di avere bisogno adesso solo per stare a galla rappresenta un aumento del 41% sulla sua quota attuale del budget del Pentagono. Come "protesta", il Capo di Stato maggiore dell'esercito, Generale Peter Schoomaker, ha scelto di non presentare nemmeno una richiesta di budget a Rumsfeld in agosto. Secondo Spiegel del LA Times, il generale, "ha detto ai responsabili degli stanziamenti del Congresso che l'anno prossimo avrà bisogno di 17,1 miliardi di dollari per riparazioni, quasi il doppio degli stanziamenti di quest'anno – e più del quadruplo del costo di due anni fa". Questo è una prova vivida del deterioramento letterale che la guerra in corso (e la guerra civile) in Iraq stanno provocando.

 

19 — Come sta andando la ricostruzione irachena?

 

Più di tre anni dopo l'invasione, la rete elettrica nazionale è in grado di fornire elettricità alla capitale, in media, solo un'ora su quattro (e questo evidentemente in una giornata buona). All'inizio di settembre, il ministro del petrolio iracheno ha parlato in modo speranzoso di aumentare la produzione petrolifera del Paese a 3 milioni di barili al giorno entro la fine dell'anno. Questo obiettivo ottimistico riporterebbe solo la produzione di petrolio al punto in cui era più o meno nel momento in cui l'amministrazione Bush, pianificando di pagare l'occupazione dell'Iraq con il "mare" di petrolio di quel Paese, invase.

 

Secondo uno studio del Pentagono diffuso in agosto, Measuring security and stability in Iraq, l'inflazione in quel Paese ora è al 52,5%. (Damien Cave del New York Times suggerisce che è più vicina al 70%, con il carburante e l'elettricità aumentati del 270% rispetto all'anno precedente); lo stesso studio del Pentagono stima che "circa il 25,9% dei bambini iracheni esaminati avevano un ritardo nello sviluppo fisico" a causa della malnutrizione cronica che è in aumento in tutto l'Iraq.

 

20 — Quanti discorsi ha fatto George W. Bush il mese scorso esaltando la sua Guerra contro il terrorismo e il suo "fronte centrale" iracheno?

 

Finora 6, senza contare le conferenze stampa, i commenti fatti accogliendo i leader stranieri, e cose del genere: alla American Legion National Convention il 31 agosto, in un discorso radiofonico agli americani il 2 settembre, in un discorso sulla sua Guerra globale contro il terrorismo alla Military Officers Association il 5 settembre, in un discorso sui "progressi" nella Guerra globale contro il terrorismo davanti alla Georgia Public Policy Foundation il 7 settembre, in un discorso televisivo alla nazione per commemorare l'11 settembre, e in un discorso alle Nazioni Unite il 19 settembre.

***

Questa settimana, il conto degli americani morti nella guerra in Iraq ha superato i 2.700. I morti iracheni letteralmente non si contano. L'Iraq è la tragedia dei nostri tempi, un evento che ha rivelato, e continuerà a rivelare, il peggio in tutti noi. E' carneficina personificata. Di questi tempi, ogni volta che il Presidente dice "vittoria", dovrebbe venirci in mente la parola "perdita". Un altro po' di vittorie come questa e il mondo sarà un posto inimmaginabile. Nel 2004, il capo della Lega Araba, Amr Mussa, ammonì: "Le porte dell'inferno sono aperte in Iraq". Allora era solo una immagine. Cosa abbastanza degna di nota, ci sono voluti solo altri due anni perché arrivassimo a queste porte, sulle quali, si dice, è impressa la frase: "Lasciate ogni speranza, o voi che entrate".

 

Tom Engelhardt

 

Tom Engelhardt, che dirige Tomdispatch.com del Nation Institute ("un antidoto regolare ai media dominanti"), è co-fondatore dell' American Empire Project e autore di The End of Victory Culture, una storia del trionfalismo americano durante la Guerra Fredda, The Last Days of Publishing, un romanzo, e, in uscita in autunno, Mission Unaccomplished (Nation Books), la prima raccolta delle interviste di Tomdispatch.

 

Tom Dispatch, 28 settembre 2006

 

Traduzione di Ornella Sangiovanni

source : http://www.uruknet.info/?p=s6187&hd=&size=1&l=i

 

 

Articolo originale



25/01/2007
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